Leggere la posta elettronica di terzi a sua insaputa è reato penale
E’ bene ricordare, in ogni occasione, che leggere la posta elettronica di terzi, a sua insaputa, costituisce sempre reato penale. Ergo: mai leggere la posta altrui, non ci sono scuse che tengano.
Non importa il fatto che a leggere la posta sia il coniuge dell’intestatario, che la password sia già memorizzata nel device e che l’accesso all’account di posta elettronica avvenga senza forzatura delle credenziali. In ogni caso, scatta ugualmente il reato penale di violazione della corrispondenza altrui.
Leggere la posta elettronica di terzi, le email altrui, a sua insaputa, è sempre reato: tutti hanno diritto al rispetto della propria privacy.
Ancora una volta i Giudici condannano chi, in un giudizio di separazione con addebito, produce prove ottenute illecitamente, come riuscendo a leggere la posta di altri.
Molto interessante, infatti, la sentenza della Corte D’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, che vede una moglie condannata a risarcire l’erede del marito per aver prodotto, in giudizio di separazione con addebito, alcuni messaggi ottenuti accedendo all’account di posta elettronica del marito, quando era ancora in vita, senza la sua autorizzazione, solo grazie al fatto che lo stesso aveva lasciato memorizzata la propria password sul pc di casa. Anche leggere la posta del proprio coniuge, senza il suo esplicito consenso, è reato penale.
Non c’è motivazione che tenga per leggere la posta altrui a sua insaputa: è sempre reato penale.
Per raccogliere prove lecite, pertanto in modo lecito, ed utilmente produrle in un eventuale giudizio, affidati alle indagini di ServiziAvvocatiAziende, non commettere il reato di leggere la posta altrui a sua insaputa.
ServiziAvvocatiAziende, in partnership con Servizisicuri.com, mette a disposizione, di chiunque sia titolare di un diritto giuridicamente rilevante, i migliori investigatori privati titolari di licenza di pubblica sicurezza, seri ed affidabili.
Per un preventivo gratuito, chiama il 3518543411 oppure compila il modulo che trovi cliccando qui, sarai richiamato.
Questo il testo della sentenza n. 24 01/04/2016:
Corte d’Appello di Taranto – Sezione penale – Sentenza 1 aprile 2016 n. 24
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI LECCE
SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO
SEZIONE PENALE
composta dai signori:
Dr. Vito FANIZZI Presidente
Dr.ssa Margherita GRIPPO Consigliere estensore
Dr.ssa Alessandra FERRARO Consigliere
all’udienza del 12/01/2016
ha pronunciato la seguente
SENTENZA DIBATTIMENTALE
nel processo penale a carico di:
MA.BE., nata il (…) a San Paolo (Brasile) elettivamente domiciliata presso l’avv. Ma.Ru. del foro di Taranto
– CONTUMACE –
appellante avverso la sentenza n. 942/2014 emessa il 07/04/2014 dal Tribunale di Taranto – con la quale, imputata di reato di cui all’art. 616 c.p. poiché prendeva cognizione e rivelava, producendole nel giudizio di separazione, corrispondenza informatica in data 25.1.2011, 26.1.2011 destinata al coniuge Vi.Do., sul suo indirizzo di posta elettronica (…) dopo che era intervenuta separazione “di fatto”, veniva ritenuta responsabile del reato di cui all’art. 616 co. 1 c.p., e, riconosciute in suo favore le circostanze attenuanti generiche, condannata alla pena di € 200,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa e non menzione della presente condanna nel certificato penale spedito a richiesta di privati. Condannata al risarcimento dei danni patiti dalla costituita p.c. da liquidarsi in € 800,00 nonché alla rifusione delle spese di costituzione e giudizio dalla medesima sostenute che vanno liquidate in Euro 700,00 oltre IVA e CAP sulle voci dovute;
con l’intervento del Pubblico Ministero dr. Ma.Ba.; con l’intervento della parte civile:
VI.PI., nato (…) e residente in Rodano (MI), alla Via (…); in qualità di erede di Vi.Do. deceduto
– PRESENTE –
con l’assistenza del Cancelliere Sig.ra Ti.Ur.;
preliminarmente l’avvocato Ca. deposita certificato di morte di Vi.Do. e atto di costituzione di Vi.Pi. quale erede sulle conclusioni come di seguito formulate:
Il P.G. chiede “la conferma della sentenza di primo grado, rigetto dei motivi di appello”;
l’avvocato Le.Ca. del foro di Taranto, difensore di fiducia della parte civile, deposita conclusioni scritte e nota spese e chiede “la conferma della sentenza di primo grado”;
l’avvocato Ma.Ru. del Foro di Taranto, difensore di fiducia dell’imputato, chiede “l’accoglimento dei motivi di appello”.
MOTIVAZIONE
- Con sentenza n. 942/2014 emessa in data 7.4.2014 il Tribunale di Taranto, in composizione monocratica, affermava la penale responsabilità di Ma.Be. in ordine al reato di cui all’art. 616 c.p., così come compiutamente riportato in epigrafe, e, per l’effetto, concesse le attenuanti generiche, la condannava alla pena di Euro 200,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, con il beneficio della sospensione condizionale della pena e quello della non menzione della condanna; con la stessa sentenza la MA. veniva altresì condannata al risarcimento in favore della parte civile del danno, liquidato in € 800,00, nonché, sempre in favore della stessa parte civile, alla rifusione delle spese di costituzione e difesa.
Nella motivazione della sentenza, il giudice di primo grado esponeva che la prova della commissione da parte dell’imputata del reato oggetto di contestazione era sostanzialmente offerta dalla deposizione resa dalla persona offesa sentita in qualità di teste, nonché dalla documentazione acquisita agli atti.
- Avverso detta sentenza proponeva tempestivo e rituale appello il difensore di fiducia dell’imputata.
Con l’atto di impugnazione veniva dedotta la improcedibilità dell’azione penale perché la querela sarebbe stata proposta tardivamente e comunque da soggetto non munito di procura.
Nel merito veniva chiesta l’assoluzione dell’imputata per insussistenza del reato in quanto la MA. era in possesso delle password del Vi. e dunque implicitamente autorizzata a leggere una corrispondenza che quindi non poteva considerarsi chiusa, posto che peraltro le e-mail si visualizzavano con l’accensione del computer, tanto più che dette e-mail sarebbero pervenute durante la convivenza della MA. con il Vi.; infine veniva dedotto dall’appellante che comunque la utilizzazione di dette e-mail sarebbe stata consentita per far valere in giudizio un proprio diritto.
- All’udienza del 12.1.2016 veniva celebrato il giudizio di secondo grado.
In esito alla discussione, il P.G., il difensore della parte civile e il difensore dell’imputata rassegnavano le rispettive conclusioni riportate e trascritte in epigrafe.
- Ritiene la Corte che l’appello sia infondato e pertanto vada rigettato con conseguente, conferma della sentenza in relazione a tutte le sue statuizioni.
Innanzitutto va evidenziato che l’eccezione di improcedibilità dell’azione penale non può essere accolta in quanto entrambi i profili di “irregolarità” sollevati dall’appellante non sono ravvisabili e la querela risulta proposta ritualmente e tempestivamente.
Al fine di evidenziare le ragioni che conducono a tale conclusione, va evidenziato che la querela è stata presentata presso la Stazione dei CC. di Martina Franca in data 19.1.2012 da Vi.Ca. in nome e per conto della persona offesa, Vi.Do. (cfr. il verbale di ratifica della querela).
Ebbene, detta querela risulta ritualmente proposta da soggetto legittimato, in quanto nello stesso atto di querela il Vi.Do. ha conferito espressa delega, per la presentazione della querela, al suo difensore di fiducia, l’avv. Ca.Vi., e cioè alla stessa persona che di fatto ha poi presentato la querela presso la Stazione dei CC. di Martina Franca.
Quanto alla tempestività della proposizione della querela, va poi rilevato che le e-mail sono state si allegate alla comparsa di costituzione e risposta depositata il 10.10.2011, ma questa data non individua necessariamente e con certezza il momento in cui la controparte nel giudizio civile di separazione, e cioè il Vi.Do., querelante, odierna parte civile, ha avuto conoscenza dell’avvenuto deposito delle e-mail e ciò in mancanza di dati univoci (necessari e indispensabili per una prova certa della eccepita tardività della querela, il cui onere incombe sulla parte che detta tardività eccepisce) relativi per esempio al giorno dell’udienza di comparizione e tenuto conto che il Vi.Do., sentito in qualità di teste, ha riferito di aver appreso del deposito delle e-mail solo in data 28.10.2011, per averglielo comunicato telefonicamente il fratello, l’avv. Ca.Vi., mentre egli si trovava in Messico (cfr. pag.5 del verbale stenotipico del 20.1.2014).
Se dunque il Vi.Do. ha avuto cognizione del deposito delle e-mail solo in data 28.10.2011, la querela proposta in data 19.1.2012 risulta tempestiva perché presentata nel termine di tre mesi dalla conoscenza del fatto denunciato.
Passando al merito, va rilevato che i principali motivi di gravame riguardanti il profilo della affermazione della penale responsabilità dell’imputata impongono una rilettura delle risultanze istruttorie del giudizio di primo grado e tale rilettura conduce a confermare l’affermazione della penale responsabilità dell’imputata per il reato di cui all’art.616 c.p., per il quale è intervenuta condanna con la sentenza appellata.
In particolare, la MA. è stata condannata in primo grado per il reato di cui all’art. 616 c.p. “poiché prendeva cognizione e rivelava, producendole nel giudizio di separazione, corrispondenza informatica in data 25/1/2011, 26/1/2011 destinata al coniuge Vi.Do., sul suo indirizzo di posta elettronica (…) dopo che era intervenuta separazione “di fatto”.
Ciò premesso, va rilevato che dall’istruttoria dibattimentale espletata in primo grado sono emersi in modo certo ed incontroverso, in quanto riferiti concordemente sia dalla persona offesa, Vi.Do., che dall’imputata Ma.Be., i seguenti dati: a) il Vi. e la MA. contraevano matrimonio civile in data 1.8.2009; 2) in data 10.6.2011, il Vi. depositava presso la cancelleria del Tribunale di Taranto un ricorso finalizzato ad ottenere la pronuncia di separazione giudiziale con addebito alla moglie; 3) in data 10.10.2011, nell’instaurato giudizio di separazione, la MA., per il tramite del suo legale, depositava la comparsa di costituzione e risposta alla quale allegava corrispondenza intercorsa, per posta elettronica, tra il marito e un’agenzia immobiliare messicana, incaricata di trovare un alloggio al marito che, per ragioni di lavoro, aveva necessità di trasferirsi temporaneamente in Messico.
Nel corso della sua deposizione testimoniale, il Vi. ha chiarito che le e-mail prodotte in giudizio dalla MA. pervenivano su un suo indirizzo privato di posta elettronica (e precisamente all’indirizzo (…)) e che, inoltre, dette e-mail erano relative ad un periodo di tempo in cui era già cessata di fatto la convivenza con la MA.; a tal proposito il Vi. ha precisato di aver visto la MA. per l’ultima volta nel dicembre del 2010, mentre le comunicazioni intercorse con l’agenzia immobiliare messicana erano relative al mese di gennaio dell’anno successivo (dall’esame della documentazione in atti si evince infatti che vi sono due email rispettivamente del 25 e del 26 gennaio 2011).
D’altra parte, la stessa MA. in sede di esame ha dichiarato che il Vi. era andato via dalla casa coniugale nel dicembre 2010 (cfr. pag. 17 del verbale stenotipico del 20.1.2014).
La MA., sempre in sede di esame, ha spiegato che ella era riuscita ad entrare nella casella di posta elettronica del marito sfruttando i precedenti accessi effettuati dallo stesso marito tramite il suo computer sul quale era stato istallato un programma che consentiva di memorizzare le password già digitate; in particolare la MA. ha precisato che il marito, durante il periodo di convivenza presso l’abitazione coniugale di Martina Franca, aveva utilizzato il suo computer e, facendo accesso alla propria casella di posta elettronica, aveva consentito al sistema di memorizzare la relativa password, il che aveva poi reso possibile anche a lei di accedere alla predetta casella postale, pur senza conoscere la password.
Ciò detto, deve concludersi per la sussistenza e per la configurabilità del reato contestato di cui all’art. 616 c.p., il tutto con le seguenti precisazioni imposte dai motivi di appello.
Ed infatti innanzitutto risulta provato e non contestato che la MA. abbia posto in essere la condotta materiale descritta e addebitata nel capo di imputazione e cioè che la MA. abbia preso cognizione della corrispondenza informatica pervenuta sull’indirizzo di posta elettronica del Vi. ed abbia poi rivelato il contenuto di tale corrispondenza attraverso la produzione delle e-mail nel giudizio di separazione.
Tale condotta integra il reato contestato dal momento che:
- a) non è ravvisabile una autorizzazione implicita del Vi. alla MA. ad accedere alla posta elettronica dello stesso, in quanto: 1) il possesso da parte della MA. della password di accesso non è stato frutto di una rivelazione di tale password fatta dal Vi. alla MA., ma il risultato di una operazione di memorizzazione eseguita dal computer della MA. all’atto del suo utilizzo da parte del Vi. ed avvenuta all’insaputa del Vi. stesso; 2) la MA. ha preso cognizione della corrispondenza informatica del Vi. a gennaio 2011 quando era già cessata la convivenza tra i due per una sorta di separazione di fatto avvenuta, per ammissione della stessa MA., già nel dicembre 2010;
- b) la corrispondenza informatica del Vi. di cui la MA. ha preso cognizione per poi produrla nel giudizio di separazione, deve considerarsi chiusa poiché l’accesso che la memorizzazione della password ha consentito per così dire in automatico alla MA., ha riguardato solo la casella di posta elettronica e non già le singole mail la cui lettura (con acquisizione della conoscenza del relativo contenuto) è stata resa possibile solo da una ulteriore operazione consistita nel cliccare sul singolo messaggio;
- c) non è apprezzabile alcuna esigenza difensiva della MA. in relazione alle mail in questione la cui produzione nel giudizio di separazione risulta priva di una giusta causa e del tutto gratuita.
Alla luce di quanto sin ora rilevato va dunque confermata la penale responsabilità della MA. per il reato di cui all’art. 616 c.p.
Il trattamento sanzionatorio non è oggetto di impugnazione e resta fermo tanto più che la pena di Euro 200,00 di multa è stata determinata in modo contenuto; sono state concesse le attenuanti generiche e sono stati riconosciuti entrambi i benefici di legge della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna.
La sentenza appellata va dunque confermata in tutte le sue statuizioni, ivi incluse quelle civili.
Per effetto della conferma della sentenza, l’appellante va infine condannata al pagamento delle spese processuali del secondo grado in favore dell’Erario, nonché al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile per il grado di appello, liquidate come da dispositivo.
Il complessivo carico di lavoro gravante sull’ufficio rende opportuna l’indicazione di un termine per il deposito della motivazione ai sensi dell’art. 544, comma 3, c.p.p.
P.Q.M.
Letti gli artt. 605 e 592 c.p.p.
CONFERMA
la sentenza emessa il 7.4.2014 dal Tribunale monocratico di Taranto ed appellata da Ma.Be., che condanna al pagamento delle spese processuali del grado in favore dell’Erario e della costituita parte civile, liquidate queste ultime in complessivi Euro 1.200,00, oltre accessori di legge.
Indica in gg. 90 il termine per il deposito della motivazione. Così deciso in Taranto il 12 gennaio 2016.
Depositata in Cancelleria l’1 aprile 2016.